Sullo Ior nascondono la verità al Papa. Parla l’ex banchiere di Dio, Ettore Gotti Tedeschi, che lancia l’accusa

di Stefano Sansonetti

Non ci sono santi che tengano. Quando ci si concentra sul Vaticano e sullo Ior, la regola del mistero sembra proprio inviolabile. Eppure dopo decenni di scandali un po’ di trasparenza non guasterebbe. Certo, qualcosa si sta cercando di fare. Ma a quanto pare sullo sfondo rimangono ancora molte ombre. Come quelle sollevate da una sorta di carteggio “indiretto” avvenuto negli ultimi tempi tra il Cardinale australiano George Pell, primo prefetto della nuovissima segreteria per l’economia, ed Ettore Gotti Tedeschi, l’ex presidente dello Ior defenestrato nel 2012 in circostanze mai chiarite fino in fondo. Adesso Gotti Tedeschi, dopo anni di silenzio, in questa intervista a La Notizia ha accettato di rispondere a tutta una serie di domande su alcune tappe ancora oggi oscure nella storia recente dello Ior. Il fatto è che lo scorso 4 dicembre 2014 Pell, in pratica il nuovo superministro dell’economia nominato da Papa Bergoglio, ha lanciato nello stagno un sasso che ha messo in imbarazzo la stessa Santa Sede. Il Cardinale, sulle colonne del settimanale inglese Catholic Herald, ha detto senza troppi fronzoli che le finanze del Vaticano sono molto più in salute di quanto si pensasse perché sono stati scoperti centinaia di milioni di euro transitati per una sorta di contabilità parallela. E la Santa Sede si è dovuta affrettare a precisare che non si tratta di soldi illeciti. Sta di fatto che la panoramica effettuata da Pell sulle vicende degli ultimi anni di finanza vaticana ha stimolato un successivo intervento sullo stesso settimanale da parte di Gotti Tedeschi, pubblicato l’8 gennaio. L’ex presidente dello Ior è uscito indenne dalle accuse che nel corso del tempo gli sono piovute addosso, a partire da quella di violazione della normativa antiriciclaggio in relazione all’ormai famoso sequestro di 23 milioni di euro dello Ior. Una fase travagliata della traiettoria della banca, che si intreccia con una storia di contrasti e colpi bassi con l’allora segretario di Stato Tarcisio Bertone. Nel frattempo un po’ di acqua è passata sotto i ponti. Prima Papa Benedetto XVI, e ora Francesco, hanno cercato di riformare le finanze vaticane in direzione della trasparenza. Leggendo il pensiero di Gotti Tedeschi, però, viene il sospetto che ci siano ancora oggi fatti e documenti di quegli anni tenuti nascosti a Papa Bergoglio e a Pell. Con qualche rischio.
Professor Gotti Tedeschi, lei ha paventato sul Catholic Herald che il Papa e il Cardinale Pell e non siano sufficientemente informati di quello che è realmente successo intorno allo Ior all’epoca del suo allontanamento dall’Istituto. A cosa allude esattamente?
“Mi sono permesso, con assoluta devozione, di suggerire al Cardinale Pell di verificare se fosse al corrente di ciò che avvenne immediatamente dopo la prima visita allo Ior nel novembre 2011 di Moneyval, ovvero l’organismo di controllo del Consiglio d’Europa che aveva apprezzato la legge antiriciclaggio che avevamo predisposto con il cardinale Attilio Nicora e con esperti interni ed esterni alla Santa Sede. E aveva apprezzato il ruolo dell’Aif, ovvero l’Autorità di informazione finanziaria voluta da Papa Benedetto XVI per prevenire e contrastare il riciclaggio di denaro. Dopo il novembre 2011, ad opera di persone all’interno della segreteria di Stato, ci fu un cambio netto dell’impostazione della legge considerato successivamente dallo stesso Moneyval un passo indietro. Poi ho anche colto l’occasione per proporre al Cardinale Pell di cercare informazioni sulle ragioni vere della sfiducia che il consiglio Ior decise di riservarmi. Ciò perché mai sono stato interrogato su questi fatti, nonostante le molteplici richieste fatte, mai questi fatti son stati investigati sentendo anche la mia versione e valutando le mie prove. Questa sfiducia operata con tanta brutalità ha segnato la mia vita. Mi ero rassegnato a questa indifferenza, pur soffrendone. Diciamo che l’intervento di una persona delle doti morali del cardinale Pell ha acceso il mio desiderio di cercare ancora di proporre di far luce sulla verità”.
Quale sarebbe la ragione del suo allontanamento dallo Ior?
“Non mi è mai stata data la possibilità di spiegarlo, ma diciamo che suppongo che la ragione di fondo di tale gesto di sfiducia fu anzitutto la mia opposizione al cambio della legge antiriciclaggio che avevamo predisposto e soprattutto al cambio del ruolo dell’Aif, che di fatto venne portata sotto il controllo della segreteria di Stato. Poi suppongo che la spiegazione del momento e del modo della sfiducia stesse invece nella conoscenza della mia decisione, anticipata a chi di dovere, di presentare allo stesso consiglio dello Ior del 24 maggio una proposta che avrebbe completamente cambiato il governo della Banca. Questo cambiamento era, secondo me, assolutamente necessario visti gli eventi precedenti. Secondo altri era invece assolutamente necessario ‘privarsi della mia preziosa collaborazione’, privando me anche della reputazione e della onorabilità”.
Cosa diceva questa proposta di riforma della governance dello Ior da lei avanzata?
“No, mi dispiace, questa è materia che tratterò solamente con il Santo Padre o un Suo incaricato”.
Perché lei sostiene che si potrebbe sospettare che il cardinale Pell non sia a conoscenza di certi fatti importanti?
“Il Cardinale Pell è conosciuto per le sue capacità, per il suo coraggio e per la sua onestà intellettuale e morale. Se fosse a conoscenza di certi fatti, e avesse avuto accesso ai documenti relativi, il suo intervento sul Catholic Herald avrebbe avuto contenuti differenti. Così almeno ritengo”.
Può dirci qualcosa sui documenti che il Cardinale Pell, secondo lei, potrebbe non conoscere?
“Ne posso sottolineare in particolare tre: il pre-report di Moneyval dell’aprile 2012, magari comparato con quello definitivo del luglio 2012, diversi report di Deloitte del 2011 sulla messa in atto delle nuove procedure antiriciclaggio e il report sulle ragioni di chiusura del conto corrente di Jp Morgan presso lo Ior del marzo 2012. Vede, si tratta di documenti ufficiali ed esterni, non di opinioni, dai quali non si può prescindere per comprendere quale mio senso di responsabilità veniva sollecitato, soprattutto dovendo considerare i rischi per la Santa Sede e per il Pontefice stesso”.
Sì, ma può spiegare più nel dettaglio il contenuto di questi documenti e perché sarebbe importante la loro conoscenza?
“Posso solo dire che questi documenti aiuterebbero a comprendere quanto fossero importanti le riforme alla cui predisposizione avevo lavorato. Immaginiamo per un attimo che il Cardinale Pell abbia conosciuto questi documenti. Se così fosse di sicuro avrebbe capito non solo quale responsabilità ha gravato sulle mie spalle durante quel periodo, ma anche perché non potevo fare altro che avanzare la proposta di soluzione al consiglio Ior del 24 maggio, quello dove fui sfiduciato. Sfiducia peraltro annunciata e conosciuta da molti, tanto che io stesso ne venni informato da due fonti diverse qualche ora prima. Una fonte persino esterna alla Santa Sede. Entrambe però vicine alla Segreteria di Stato”.
C’è ancora oggi nella Santa Sede un’indicazione di trascurarla e mostrare indifferenza nei suoi confronti?
“Sono costretto a dedurlo, non a saperlo. Altrimenti come spiegherebbe l’indifferenza rispetto alla decisione di Benedetto XVI di riabilitarmi che mi fu comunicata quattro giorni prima della sua rinuncia, il 7 febbraio 2013?”
La mancata conoscenza dei fatti e documenti che lei cita può causare qualche rischio?
“Vede, io credo che quando si assiste a vicende come qu elle accorse all’Ior e alla mia persona, e successivamente a tutti i membri dell’Aif, se non si scoprono i fatti che hanno portato a questi avvenimenti, difficilmente si potranno risolvere i problemi, sempreché si considerino problemi e non solo fastidi dovuti a ingerenze esterne alla Santa Sede. Quale legge antiriciclaggio è oggi applicata? Quale ruolo è ricoperto oggi dall’Aif?”
Vede qualche rischio per i tentativi riformatori di Papa Francesco?
“Secondo me il rischio lo corrono soprattutto altri, non il Papa. Il rischio maggiore è che il Pontefice un giorno voglia capire, e magari potrà scoprire che gli hanno nascosto qualcosa che invece doveva sapere. Il minore è, continuando a ignorare il mio caso, perpetrare un’ingiustizia che certo Papa Francesco non apprezzerà quando ne verrà a conoscenza. E stia certo che questo succederà”.

Twitter: @SSansonetti