Un inevitabile Pdl di lotta e di governo

di Maria Giovanna Maglie

Mettete insieme la sentenza Mediaset sull’evasione fiscale partorita in tutta fretta, quasi i giudici avessero un timing tutto loro della politica, il nuovo attacco del pm Woodcock da Napoli con le accuse improbabili di corruzione al Cav, la storiaccia di Rubi a sentenza prossima ventura; mescolate con la situazione economica pesante che ha partorito il topolino della tassa Imu solo rinviata a settembre e solo per la prima casa; aggiungete i comunisti e giustizialisti del Pd senza segretario che si preparano a tentare le vecchie e famigerate maggioranze variabili con il Movimento 5 Stelle, il quale 5 stelle ribadisce che intende proporre con urgenza l’ineleggibilità per Silvio Berlusconi da votare in Parlamento, e capirete che c’è poco da fare appelli alla ragionevolezza, come insiste a proporre Giorgio Napolitano, e poco da stupirsi se il Pdl diventa un po’ di lotta oltre che di governo e convoca un’adunata per Silvio a Brescia domani, se le quotazioni di Enrico Letta e del suo governo sembrano già quelle di re Travicello e i suoi boys and girls.

Tenere i piani separati era stata la parola d’ordine fino a due giorni fa, e nonostante gli scontri sulla presidenza della Commissione Giustizia al senatore Francesco Nitto Palma: la questione giustizia da un lato, il sostegno al governo Letta, che non è in discussione, dall’altro. Ma dopo la sentenza Mediaset di condanna a Silvio Berlusconi il Pdl ha cambiato toni e ora il livello dell’offensiva è destinato a crescere ulteriormente, basti a capirlo la nota diffusa ieri “Il Popolo della libertà – ha spiegato in modo stringatissimo il partito di via dell’Umiltà – scende in piazza in difesa di Silvio Berlusconi. La manifestazione si svolgerà sabato 11 maggio a Brescia, alle 16 in piazza Duomo, con la partecipazione del presidente del Popolo della libertà”.

A Milano si è aggiunta di nuovo Napoli, e il pm delle cause impossibili Woodcock, che ha accusato di corruzione e chiesto il rinvio a giudizio di Berlusconi per la presunta compravendita di senatori, nella fattispecie l’ex Idv De Gregorio, nel governo Prodi. La manifestazione di Brescia ha così cambiato pelle, trasformandosi in prova di forza. Solo scintille o il fuoco che brucerà il già fragile governo Letta, tanto più che sabato c’è anche il faticoso convegno/congressone del Pd, e che i magistrati con la loro associazione monstrum unica, la Anm, hanno gridato al sacrilegio?

Accanimento giudiziario
L’accanimento, inutile negarlo, c’è, e c’è pure il malvezzo dei magistrati italiani, certi magistrati, di far politica pesante. Woodcock con le sue inchieste e richieste  non sembra uno che reggerebbe a lume di buon senso la prova di una Cassazione. Me lo conferma un esperto come l’avvocato Giuseppe Staiano, e la spiegazione tecnica merita citazione integrale. “Mi lascia perplesso la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell’ex premier formulata dalla Procura di Napoli che ipotizza il reato di corruzione a carico di Berlusconi, e lo dico a norma di articolo 68 della Costituzione sulla separazione dei poteri. Facciamo un esempio. La norma penale sulla corruzione punisce la ricezione di denaro o altra utilità, per sé o per un terzo e allora mi chiedo cosa accadrebbe – nel momento in cui si apre il varco della sindacabilità degli atti parlamentari – se un parlamentare decide di cambiare partito perché un’altra forza politica si impegna a realizzare un ospedale nel suo collegio elettorale.
E’ questa corruzione? La costruzione di un ospedale in astratto è definibile “altra utilità” e nel caso di specie “per un terzo”, che sono i suoi elettori. Un ospedale, forse, crea suggestioni positive ed, invece, un inceneritore? Chi decide, quindi, se il voto di un parlamentare è giusto o sbagliato o peggio ancora lecito o illecito e se questo può rappresentare l’oggetto di una corruzione?
Io credo che il giudizio possa essere solo politico e che spetti agli elettori,  non alla magistratura”.

Il quadro politico
Già, gli elettori, confusi di fronte a un quadro faticoso e complicato: da un lato il Pd disgregato, in crisi, senza leader e senza nessuno che vuole prenderne la guida, almeno nessuno in grado di unirne e pacificarne le anime opposte; dall’altro il Pdl  che ha accettato e rispettato tutti gli accordi e i compromessi, ma ora torna sulle barricate per l’assedio giudiziario. Il grande mediatore è Giorgio Napolitano, che con persuasione e minacce di dimissioni si sforza di mantenere la sua linea, di preservare l’esecutivo e di favorire il clima di “pacificazione nazionale”. Martedì il Capo dello Stato haparlato in Cassazione, riunita per eleggere il nuovo presidente, La sentenza Mediaset su Silvio Berlusconi sarebbe arrivata pochi minuti dopo, ma il verdetto era scontato. E Napolitano ha sfruttato l’occasione per ribadire al governo che la priorità è “trovare risposte alle emergenze economiche e sociali” e “mettere in cantiere le riforme a lungo attese”.

I moniti di Napolitano
Il messaggio al Parlamento è chiaro: l’ultima condanna di Berlusconi non deve mettere a repentaglio l’esecutivo né il futuro prossimo del Paese. Ieri invece nel discorso al Senato in occasione della Giornata della memoria delle vittime del terrorismo, ha detto che “Bisogna fermare la violenza prima che si trasformi in eversione. In questo momento non possiamo essere tranquilli davanti ad esternazioni anche solo sul piano verbale o sul piano della propaganda politica”. Con chi ce l’aveva Napolitano? Con i toni esasperati, con l’estremismo da guerriglia urbana di Beppe Grillo in trasferta nella capitale? O proprio con il Pdl, che dopo la condanna Mediaset ha di nuovo dichiarato guerra alle toghe? Ultima domanda del giorno. Fino a quando il presidente si ostinerà a minacciare le sue dimissioni come spauracchio se la situazione dovesse precipitare e il ricorso alle urne apparire l’unica soluzione?