“Stavolta sì”, m’è venuto da pensare. Trovo volgare, e a volte persino disumana, l’abitudine che si ha sui social di celebrare un morto famoso raccontando un aneddoto con questi, parlando poi di sé stessi o addirittura sfruttando il cadavere caldo del VIP di turno per farsi pubblicità. Terribile, e triste. Eppure quando ho letto di Stefano Benni ho pensato che stavolta avrei parlato di quanto sia stato importante questo genio italiano nella mia vita, di quanto lo sia ancora. E mi è venuto da piangere, ma anche da ridere, naturalmente, perché come lui scriveva “ci sarà gran piagnanza e gran ridanza”. Io però di episodi col morto non ne ho, e quelle poche volte che l’ho incontrato di persona sono rimasto zitto ad ascoltarlo, o a vederlo disegnare, rimanendo incantato.
E quindi gli episodi, tantissimi, che avrei voglia di raccontare sono legati non alla splendida persona che Benni era, ma alla sua opera. Che non è morta né mai morirà, quindi -forse- se ne può parlare senza essere volgari, oggi. O forse no, basti dire che mi ha fatto sognare, volare, sperare, mi ha dato energia, mi ha fatto illudere nella possibilità di un mondo meno schifoso, mi ha migliorato come essere umano, ciò che solo la grande letteratura può fare. “Se potessi portare un solo libro con te, quale porteresti?”, mi han chiesto spesso.
“Comici Spaventati Guerrieri”, ho sempre risposto. È il libro che ho letto e comprato più volte, per goderne a ogni rilettura, e regalarlo a chi pensavo potesse amarlo quanto me. Ad un uomo che ha scritto cose così belle e ha dato così tanto a tutti noi, vien voglia solo di dire Grazie. Grazie, grazie, mille volte grazie Stefano. Mille miliardi di fantastilioni di Grazie, perché ci hai fatto ridere e sognare e sperare e volare di fantasia, e commuovere persino. E appunto ho comperato ben più di cento copie dei tuoi libri per leggerli e regalarli al mondo intero, ti ho usato spudoratamente per sedurre o tentare di sedurre Silvie (e Chiare, Sare e Francesche) tutte più o meno sbeffeggianti.
Ma regalarti era anche un modo perfetto per abbracciare amici e parenti cui credevo valesse la pena farti conoscere, e far capire loro quanto gli volessi bene, trasportandoli nell’universo infinito e sorprendente delle tue meravigliose invenzioni. “Una rosa / un penny / un libro di Benni” raccomandava di regalare a Natale il vecchio Serra, quando tutti davamo più ascolto al Cuore. E poi grazie a te sono stato Lucio, Leone e Lupetto (che diventerà “prima come Leone, poi come Platini, poi si vedrà”), ed ho goduto delle tue infinite pennellate nei colori vividi e sorprendenti d’una fantasia educata e intelligente. Il bacio di Bovinelli, la chitarra magica con un difetto di fabbricazione, il tennico, Merill & Attanasio, l’ape innamorata, Quijote Patchwork e il cicalino per i peti, Elianto, il regolamento della pallastrada, Lucinda coda-di-volpe che suona una chitarra immaginaria davanti a centomila Gaetani impazziti, i moderati e i moderisti, l’assessore Pancetta e il sindaco Cornacchia, Arturo l’astice e Alice Auck, Berlanga e Rutalini, gerarchetti e Clarette, il set di spot di brut, Casini detto “il Moreno della Camera, i pittori pancazzisti e le lettere di cosa ti farei, cari compagni ma che vi frega del 51%?, il carpaccio succedaneo, siate maggioranza, perché quel ragazzo è così allegro?, la Fiat Porcellino e la Fiat Capodoglio, Savoldi che ha il menisco, il caffè per l’ingegnere, il negro nudo sopra la lambretta, la giraffa col cuore lontano dai pensieri, Schifius che è il pianeta più crudele della galassia, ed altre mille o centomila bellezze.
Grazie. E scusaci, forse non sarà rispettoso, ma per noi non sei morto. Anche perché tu sei un’idea, Baol. E nessuna idea può mantenersi pura. Saresti svanito, come una bolla di sapone, ai primi compromessi. Eppure noi ti abbiamo amato, veramente. Ma non tanto da farti vivere sempre con noi. Perché nessuno può amarti come vorrebbe. Ma tu ritornerai sempre. Nella mia vita, o in quella di qualcun altro.
Ciao Stefano, ciao Baol.