Di Cesare: “Il Kosovo come l’Ucraina. L’Europa è assente e la Nato spadroneggia”

Parla Donatella Di Cesare: "Lo smembramento dell'ex Jugoslavia in gabbie etniche rischia di alimentare altre trincee".

Di Cesare: “Il Kosovo come l’Ucraina. L’Europa è assente e la Nato spadroneggia”

“In Kosovo come in Ucraina siamo davanti a un problema di ‘gabbie etniche’ dove, con l’introduzione di confini artificiali, sono stati divisi dei popoli in nome della pace. Ma la realtà è che così sono state soltanto alimentate le reciproche diffidenze” dando luogo a tensioni e guerre. È netto il giudizio della professoressa Donatella Di Cesare sulle cause dietro alle recenti tensioni divampate nei Balcani e che rischiano di scatenare un nuovo conflitto in Europa.
Il Kosovo è di nuovo in crisi con il dilagare delle tensioni da parte serba che sono culminati in violenti scontri con le forze occidentali.

Professoressa Donatella Di Cesare, rischiamo di trovarci una nuova Ucraina a due passi da casa?
“Questo è difficile dirlo ma è chiaro che i Balcani restano uno scenario esplosivo e imprevedibile. Noi europei abbiamo la memoria corta perché ci siamo già dimenticati che, purtroppo, in quell’area anni fa c’è già stata una guerra fratricida che per molti versi è assimilabile a quella che stiamo vedendo in Ucraina. Alla luce di queste considerazioni mi sembra chiaro che il pericolo di una guerra nei Balcani non è così inverosimile e che bisogna fare il possibile per evitarla”.

I balcani sono stati teatro dell’iniziativa militare della Nato che nel 1999 ha messo fine al sanguinario regime di Slobodan Milošević. Ma da quel momento le tensioni e le rivalità nell’area non sono diminuite. Quanto sta accadendo in Kosovo è l’eredità di quei raid?
“Il discorso è molto complesso e dal mio punto di vista, per capire cosa sta succedendo bisogna mettere in risalto quelle che sono le affinità tra il contesto del Kosovo e quello dell’Ucraina. A mio avviso in entrambi i casi siamo davanti a un problema di ‘gabbie etniche’, un fenomeno molto presente soprattutto nell’Europa orientale, dove con l’introduzione di confini artificiali sono stati divisi i popoli, ad esempio su base linguistica, alimentando le reciproche diffidenze perché o si appartiene a una fazione o all’altra. Gabbie etniche che poi finiscono per diventare delle potenziali trincee di guerra. Trovo assurdo pensare di continuare a procedere con simili modalità, le quali sono indubbiamente fallimentari. Eppure faccio notare che l’Europa come progetto politico era nata proprio in funzione della coabitazione dei popoli, non delle etnie. Proprio per questo l’Ue avrebbe dovuto, in qualità di forza politica sovranazionale, svolgere un ruolo decisivo con cui trovare modalità capaci di far convivere pacificamente popoli diversi così da evitare proprio quelle tensioni che vediamo oggigiorno nel Kosovo o in Ucraina”.

Ma se la Nato è un’alleanza difensiva, come ha fatto a scatenare la guerra contro Milošević?
“Ma non è difensiva e lo vediamo in Ucraina dove il ruolo difensivo scivola in quello offensivo, fino a confondersi l’un l’altro. Quello che sconcerta maggiormente – e su cui dovremmo tutti interrogarci – è la distinzione tra la Nato e l’Europa con i primi che sono protagonisti di questa nuova guerra in Ucraina e i secondi che sono completamente relegati in secondo piano. Il vero problema è la debolezza dell’Ue”.

La Serbia è da tempo vicina alla Russia di Putin e sulla guerra in Ucraina ha un atteggiamento ambiguo. Per questo alcuni opinionisti sostengono che dietro agli scontri in Kosovo ci sia lo zampino di Mosca. Questa tesi regge?
“Noi non possiamo sapere in che misura ci sia un influsso o addirittura un intervento da parte di Paesi terzi. Quello che è sotto gli occhi di tutti è che soltanto in alcuni casi si fa appello all’autodeterminazione dei popoli mentre in altri no. Certamente in questo caso non si può non tenere conto di alcuni diritti che, a quanto vedo, i serbi stanno cercando di far valere”.

Intanto continua la guerra in Ucraina con la Nato che svolge un ruolo di primo piano coordinando la fornitura di armi a Kiev. Un ruolo, quello del Patto atlantico, definito da molti come “provocatorio” verso la Russia. Lei che ne pensa?
“Questo ruolo del Patto atlantico è stato condannato perfino da Papa Francesco quando ha parlato dell’abbaiare della Nato ai confini della Russia. Il problema, secondo me, è prettamente politico. Vedo del protagonismo della Nato che a mio avviso dipende dalla debolezza dell’Europa che vive di rassegnazione e passività. Un atteggiamento, quello europeo, che finisce per lasciare spazio politico – e non solo – al Patto atlantico. Su questa debolezza bisognerebbe discutere molto approfonditamente ma non posso che constatare che nessuno vuole farlo”.

Ci dica la verità, ci dobbiamo rassegnare al fatto che la guerra in Ucraina è destinata a durare ancora a lungo?
“Purtroppo la situazione appare molto grave. Noi non sappiamo se ci siano dei negoziati ma sappiamo soltanto dell’esistenza dell’iniziativa del Vaticano che il Papa ha affidato al cardinale Zuppi. Quello che mi preoccupa maggiormente è la crescete rassegnazione dell’opinione pubblica. Eppure faccio notare che la maggioranza degli italiani continua ad avere molte perplessità sull’invio di armi all’Ucraina ma continua ad avere poca voce nello spazio pubblico. Inoltre è evidente che non viene ascoltata dai nostri politici. Quello che possiamo dire, se non altro, è che dopo più di un anno la situazione non è migliorata ma è drammaticamente e palesemente peggiorata. Tutto ciò ci dimostra che le armi non risolvono questi conflitti e nemmeno i problemi di confini o quelli interni all’Europa. Armi che a quanto pare non risolvono neanche lo scontro tra le grandi potenze. Spero che chi di dovere se ne renda conto prima che sia troppo tardi”.

 

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