Rimpatri, la Corte Ue smonta il modello Albania: la designazione di un Paese di origine “sicuro” deve essere soggetta a un controllo giurisdizionale effettivo

La Corte Ue smonta il modello Albania: la designazione di un Paese di origine sicuro deve essere valutata dai giudici

Rimpatri, la Corte Ue smonta il modello Albania: la designazione di un Paese di origine “sicuro” deve essere soggetta a un controllo giurisdizionale effettivo

La Corte di Giustizia dell’Unione europea ha stabilito che la designazione di un Paese terzo come “Paese di origine sicuro” deve poter essere oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo. È questo il principio cardine affermato dai giudici di Lussemburgo pronunciandosi sul ricorso relativo alla procedura di frontiera nei Centri di permanenza in Albania, attivati nell’ambito del protocollo siglato tra Roma e Tirana.

Secondo la Corte, un cittadino di un Paese terzo può vedere respinta la propria domanda di protezione internazionale tramite una procedura accelerata di frontiera qualora il suo Paese di origine sia stato inserito in una lista di Paesi sicuri da parte di uno Stato membro. Tale designazione, però, deve rispettare precisi criteri sostanziali previsti dal diritto dell’Unione ed essere sottoponibile a verifica da parte di un giudice.

Accessibilità delle fonti e ruolo del giudice

Nella sentenza, la Corte precisa che la designazione può avvenire tramite atto legislativo nazionale, purché sia garantita la possibilità di controllo giudiziario. Le fonti di informazione sulle quali si fonda la valutazione della sicurezza di un Paese devono essere accessibili sia al richiedente sia al giudice nazionale. Solo in questo modo, infatti, può essere garantita una tutela giurisdizionale effettiva: da un lato il richiedente ha la possibilità di contestare la presunzione di sicurezza, dall’altro il giudice può esercitare un sindacato pieno e indipendente.

I magistrati di Lussemburgo hanno inoltre chiarito che uno Stato membro non può inserire un Paese nell’elenco dei “sicuri” qualora quest’ultimo non assicuri una protezione sufficiente a tutta la popolazione.

Il caso italiano: il Bangladesh e il protocollo con l’Albania

La decisione della Corte Ue è maturata in un contesto strettamente legato all’Italia. Dall’ottobre 2024, la designazione dei Paesi sicuri avviene nel nostro Paese tramite atto legislativo: in virtù di questo strumento, il Bangladesh è stato incluso nell’elenco.

Proprio due cittadini del Bangladesh, soccorsi in mare dalle autorità italiane e trasferiti in un Cpr in Albania, hanno presentato richiesta di protezione internazionale. La domanda è stata respinta in procedura accelerata con la motivazione che il Bangladesh è considerato sicuro. I ricorrenti hanno impugnato il rigetto davanti al Tribunale ordinario di Roma, che ha chiesto alla Corte di Giustizia di chiarire la corretta applicazione del concetto di Paese di origine sicuro.

Il giudice italiano ha sollevato dubbi sulla legittimità della normativa nazionale, evidenziando che l’atto legislativo del 2024 non indica le fonti utilizzate dal legislatore per valutare la sicurezza del Paese. Questo, a suo avviso, priva richiedente e giudice della possibilità di verificare la fondatezza della designazione.

La risposta della Corte di Giustizia

Con la sua decisione, la Corte Ue ha precisato che il diritto dell’Unione non vieta l’adozione di una lista dei Paesi sicuri tramite legge nazionale. Tuttavia, è indispensabile che la designazione possa essere oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo e che si fondi su informazioni attendibili e accessibili.

Il giudice nazionale, inoltre, può utilizzare informazioni supplementari raccolte autonomamente, a condizione che ne verifichi l’affidabilità e che garantisca alle parti la possibilità di esprimersi su tali elementi.