Si ritiene vittima di un errore giudiziario e per questo Giancarlo Pittelli, imputato per concorso esterno in mafia nel processo Rinascita-Scott (leggi l’articolo), ha preso carta e penna per chiedere aiuto al ministro per il Sud, Mara Carfagna. Un tentativo disperato con cui il forzista ha spiegato la propria versione dei fatti finendo, però, per peggiorare le cose perché, accusato di violazione degli arresti domiciliari, è stato rimesso in carcere dai giudici.
L’AUTO ASSOLUZIONE. Che il suo gesto potesse avere conseguenze nefaste lo sapeva lo stesso Pittelli che di professione fa l’avvocato. Ed è lui stesso a spiegare i rischi di quanto sta facendo nella lettera, inviata l’8 ottobre scorso e finita nelle mani dell’Ispettorato di pubblica sicurezza di Palazzo Chigi, quando scrive: “Cara Mara, ti scrivo…aiutami in qualunque modo”, “non potrei avere rapporti di corrispondenza con nessuno ma ti prego di credere che sono ormai disperato”.
Questo perché, rivela candidamente, di essere finito al centro “di accuse folli formulate dalla Procura di Gratteri ed asseverate dalla giurisdizione asservita”. Per questo si definisce “un innocente nelle grinfie di folli” entrando nel merito delle contestazioni per le quali è tutt’ora imputato: “L’accusa di concorso esterno rimasta in piedi nei miei confronti consisterebbe nell’avere rivelato ad esponenti della cosca di ‘ndrangheta denominata Mancuso il contenuto dei verbali secretati delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Andrea Mantella”.
Si tratta di una ricostruzione parziale delle contestazioni dei pm di Catanzaro ma l’ex senatore si sente un perseguitato e poche righe dopo rincara la dose arrivando a lanciare pesantissime accuse contro la Direzione distrettuale antimafia, guidata dal procuratore Nicola Gratteri. A tal proposito scrive che “vi è in atti la prova della manipolazione di un’altra captazione ambientale”. Una lettera a cuore aperto in cui assicura alla ministra che “non ti nascondo nulla” e “ti rappresento la verità dei fatti” aggiungendo che “stiamo preparando una nuova istanza nel merito ed un’interrogazione parlamentare che Vittorio Sgarbi proporrà quale primo firmatario”.
Per queste ragioni Pittelli chiede aiuto direttamente alla Carfagna, dandogli del “tu”, e scrivendo: “Ti chiedo di non abbandonarmi perché sono un innocente finito nelle grinfie di folli per ragioni che ti rivelerò alla prima occasione. Aiutami in qualunque modo, io vivo da due anni in stato di detenzione, finito professionalmente, umanamente e finanziariamente… Grazie per quanto potrai fare”.
LA SPIEGAZIONE DEI GIUDICI. Peccato che questa richiesta di aiuto, al momento non ha sortito altro effetto che quello di causare una violazione degli arresti domiciliari per la quale Pittelli è già tornato in cella. Una richiesta definita da molti come “surreale” e a cui ha provato a dare una spiegazione dal collegio giudicante del Tribunale di Vibo Valentia, presieduto dal giudice Brigida Cavasino, che nel revocare i domiciliari ha messo nero su bianco che Pittelli “ha consapevolmente trasgredito alle prescrizioni impostegli con il provvedimento di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari”, rendendo palese la propria “volontà di instaurare contatti, con la precipua finalità di incidere sul regolare svolgimento del processo in cui è ancora in corso la complessa istruttoria dibattimentale, consistente, tra l’altro, nella trascrizione peritale di un compendio intercettivo corposissimo e nell’escussione di centinaia di testimoni”.